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Un Veterano Ricorda: Intervista coll'Ammiraglio Giuseppe Pighini
di Marc de Angelis, C.F., MM USA
Nel dicembre del 1995, dopo aver conseguito la mia laurea di specializzazione alla Naval Postgraduate School, ebbi occasione di andare in licenza a Roma per visitare mia madre. Fu li' che, attraverso una serie di circostanze sorprendenti ed impreviste, mi resi conto che Giuseppe Pighini, Ammiraglio in pensione e pluridecorato veterano della 2a Guerra Mondiale, mi era praticamente vicino di casa.
Il nome mi era gia' noto: Alberto Da Zara, forse il piu' brillante fra gli Ammiragli italiani durante la guerra, lo menziona piu' volte nella sua autobiografia, e nel suo Con La Pelle Appesa a un Chiodo il giornalista e scrittore Vero Roberti narra episodio che in cui la torperdiniera Calliope, comandata proprio da Pighini, abbatte un ricognitore britannico. Spinto dalla mia passione per la storia navale, non seppi resistere alla tentazione di chiamare l'Ammiraglio per telefono. Mi rispose con cortesia e accetto' di ricevermi il giorno dopo a casa sua. Come mi aspettavo, trovai la dimora dell'Ammiraglio arredata con sobrieta' e gusto; ovunque il mio sguardo si posava, vedevo una foto o qualche altro particolare che ricordava una lunga e brillante carriera militare. Nel salotto, un quadro di una bellissima signora era in gran risalto: appresi che si trattava della consorte dell'Ammiraglio, precocemente deceduta nel 1983 dopo aver condiviso con lui trentasette anni di vita. Prima ancora di presentarmi, mi resi conto che l'Ammiraglio, malgrado l'eta', e' ancora molto in gamba. E' anche simpatico. Mi ha fatto molte domande sulla mia preparazione professionale e sul motivo della mia visita, prendendo di tanto in tanto appunti sul suo blocchetto. Quando gli spiegai a grandi linee il genere di domande che intendevo rivolgergli, mi disse che la sua memoria non era piu' quella di una volta, ma a dire il vero non perse un colpo e rispose sempre con prontezza e precisione. La vita dell'Ammiraglio fu sempre movimentata ed interessante. Nato a Parma nel 1911, e' spinto dal suo wanderlust ad entrare all'Accademia Navale di Livorno, dalla quale usce nel 1931. Verso la meta' degli anni trenta si trova in Cina, ove diventa insostituibile compagno di viaggio dell'allora Comandante Da Zara. Sara' l'inizio di una lunga e fruttuosa cooperazione tra due brillanti ed entusiasti ufficiali. Dopo diversi altri incarichi, tra cui fanno spicco quelli svolti durante il periodo bellico, Pighini e' Addetto Navale a Parigi nel difficile dopoguerra. Alla fine degli anni cinquanta, e' di nuovo all'estero, questa volta negli Stati Uniti, dove frequenta il Naval War College a Newport, nel Rhode Island. La sua carriera e' coronata da un incarico come Comandante Superiore delle Forze del Sud Europa della NATO (ComNavSouth). Il medagliere dell'Ammiraglio e' ricco, con ben due medaglie d'argento fra le sue molte decorazioni, la prima meritata durante un'azione di scorta convogli, quando la sua gloriosa Calliope riusci' ad abbattere tre dei sei velivoli attaccanti senza che nessuna delle navi del convoglio subissero danni. La seconda gli venne assegnata in seguito ad un'azione combinata dei MAS della squadriglia al suo comando, che riuscirono ad affondare un cacciatorpediniere nemico. Quanto segue e' un breve riassunto di quel che mi disse l'Ammiraglio. Pighini ebbe modo di leggere la versione originale di quest'intervista, in lingua inglese, e chiese di apportare piccoli cambiamenti. Quindi, seppure mi sono preso la liberta' di parafrasare alcune sue risposte, ritengo di essere rimasto sostanzialmente fedele al senso delle sue parole. Ammiraglio, e' opinione comune che la Regia Marina, ed in particolare gli ufficiali, erano tiepidi verso il regime fascista. E' d'accordo con questa valutazione? Si', e' vero. C'era stato un periodo, nella storia d'Italia, quando solo una dittatura avrebbe potuto sradicare il paese dalla profonda crisi in cui si trovava nel primo dopoguerra. A partire dalla meta' degli anni trenta, pero', il fascismo era un tipo di governo che aveva perso il suo motivo di esistere. Ecco perche' molti ufficiali, io compreso, rifiutarono di iscriversi al partito malgrado ripetuti inviti. Quale fu, in generale, la reazione degli ufficiali della Regia Marina alla dichiarazione di guerra? Sorpresa. Perplessita'. Mussolini aveva un intelletto pronto e vivace, ma in fin dei conti era un uomo ignorante, che raramente aveva messo piede all'estero. Quando visito' la Germania, verso la meta' degli anni trenta, fu cosi' profondamente impressionato dalla potenza militare e industriale di quella nazione che si convinse che i Tedeschi erano inarrestabili. Di conseguenza, non appena la Francia comincio' a dare chiari sintomi di tracollo, nel 1940, il duce dichiaro' guerra prevedendo di trovarsi seduto al tavolo della pace in pochi mesi. Come ufficiali di Marina, la nostra preoccupazione piu' immediata era la Royal Navy, allora la piu' potente del mondo, ma ci rendevamo anche conto che Mussolini non comprendeva appieno il divario fra la potenza industriale e la ricchezza di materie prime che esisteva tra l'Asse e l'Impero britannico, specialmente poi se si dovesse tener presente il peso di un potenziale alleato del calibro degli Stati Uniti. Tra l'altro, Mussolini aveva perso contatto con il cuore della nazione: l'uomo della strada non desiderava la guerra. Che incarichi ebbe durante la guerra? Allo scoppio delle ostilita' avevo il grado di Tenente di Vascello, e mi trovavo imbarcato sull'incrociatore leggero Di Giussano. L'unita' faceva parte della IV divisione incrociatori, al comando dell'Ammiraglio Da Zara. Sul Di Giussano partecipai alla battaglia di Punta Stilo, durante la quale la nostra Aeronautica non riconobbe le navi nazionali e ci attacco'. In seguito, divenni comandante in seconda sul cacciatorpediniere Granatiere. Durante quell'imbarco, durato sei mesi, la nave partecipo' in molte missioni di scorta convogli. Fui poi promosso a Capitano di Corvetta, e posto al comando della torpediniera Calliope, una delle tante piccole e gloriose unita' che si distinse nell'ingrato compito di scortare i nostri convogli da e per l'Africa Settentrionale. Lasciai la Calliope un anno dopo, nel luglio del '42, e fui assegnato allo stato maggiore della VII divisione incrociatori su richiesta diretta di Da Zara, che la comandava. Purtroppo arrivai troppo tardi per la battaglia di Pantelleria. Nel primo '43, assunsi il comando di una squadriglia di corvette di base in Sicilia. Dopo la resa, nel settembre del '43, la Marina fu la prima delle tre armi a cooperare con gli Alleati. Feci la mia parte scortando alcuni convogli alleati con le navi al mio comando. Alla fine del '43 ritornai allo stato maggiore di Da Zara, che a quel punto aveva un comando a terra nell'Italia Meridionale e aveva iniziato un ingegnoso e fortunato progetto, consistente nel trasformare alcune delle terre di proprieta' della Marina in terreno coltivabile per alleggerire la penuria di viveri che affliggeva i nostri militari. Quali sono le sue opinioni sulle navi italiane del periodo bellico? Le navi italiane riflettevano il prestigio della nazione. Per questo l'apparenza e le prestazioni, soprattutto la velocita', erano molto curate. In generale, pero', esse non erano sufficientemente solide e ben protette rispetto al calibro dell'armamento principale. Corazzatura, sicurezza interna e autonomia vennero sacrificate alla velocita'. Le due eccezioni furono le corazzate del tipo Littorio e gli incrociatori pesanti tipo Pola, in cui protezione e velocita' furono meglio armonizzate. Come giudica il livello di addestramento degli ufficiali italiani? Era, e continua ad essere, eccellente. Dopo i corsi accademici, la marineria dei giovani ufficiali veniva affinata attraverso una lunga serie d'imbarchi. Piu' tardi, da Tenenti di Vascello con una certa anzianita', gli ufficiali venivano assegnati alla scuola di comando, una squadriglia di siluranti usate per compiti addestrativi. Li', le loro doti di manovratori di navi erano ulteriormente migliorate durante il conseguimento dell'idoneita' al comando. Gli ufficiali addetti ai servizi tecnici, commissariato, eccetera andavano attraverso un simile tirocinio nel loro campo di specializzazione. Durante la mia carriera non ebbi mai a lagnarmi della competenza professionale dei miei subordinati, sia ufficiali di stato maggiore che ufficiali di altre specialita'. Direi che la nostra Accademia Navale produce tuttora I migliori ufficiali delle tre Armi, e che la Marina e' ancora l'Arma piu' preparata dal punto di vista professionale. I numerosi ufficiali di grado medio che si distinsero durante il conflitto, soprattutto sulle siluranti, conferma ampiamente la sua tesi. Come spiega, dunque, il fatto che nessuno degli Ammiragli italiani ottennero simili riconoscimenti? Cio' che lei dice non e' del tutto esatto. E' vero che gli ufficiali scelti per comandare la flotta, per quanto professionalmente preparati, non furono brillanti or carismatici. Iachino, per esempio, usava la statistica per alcune decisioni tattiche. In guerra, ritengo che l'intuito sia spesso piu' utile delle capacita' analitiche. Noi avevamo un uomo che abbinava doti di intuito e immaginazione al coraggio e a una vivacissima intelligenza: Alberto Da Zara, il migliore dei nostri Ammiragli. Riusci' ad eseguire con successo tutti i compiti assegnatigli, ma purtroppo non ebbe una squadra navale da comandare fino alla fine del conflitto, quando ormai non c'era quasi niente da fare. Se fosse stato posto in quell'incarico prima, avrebbe potuto essere il condottiero ideale che i nostri ufficiali ampiamente meritavano. Perche' altri ufficiali furono preferiti a Da Zara nelle alte sfere della Marina? I motivi sono vari. Da Zara era un tipo originale, molte delle sue idee non trovarono d'accordo il nostro Sottosegretario di Stato alla Marina, Ammiraglio Cavagnari. Peraltro Da Zara preferiva incarichi all'estero a incarichi ministeriali, mentre molti Ammiragli suoi contemporanei erano ben noti negli ambienti di Palazzo delle Ancore. Forse, pero', il motivo piu' importante fu che Da Zara era visto troppo come uomo di societa'. Gli piacevano le conversazioni brillanti, i cavalli, le donne. Pensi che fra le sue molte conquiste si annoverava persino la Wallis Simpson prima di divenire Duchessa di Windsor. Viene spesso detto che, durante la guerra, il Comando Supremo della Marina esercitasse un controllo eccessivo sui comandanti operativi. Qual'e' la sua opinione in merito? Il nostro Comando Supremo, Supermarina, era un'organizzazione straordinaria. Riceveva e valutava informazioni relative alle nostre operazioni da tutte le fonti immaginabili. Purtroppo, questo a volte risultava in ordini che erano o tardivi, o che non tenevano conto dell'esatta posizione delle forze navali che avrebbero dovuto eseguirli. Per questa ragione era indispensabile, per i comandanti locali, decidere se era il caso di ubbidire oppure no. In tre diverse occasioni, durante missioni di scorta convogli, ritenni piu' opportuno fidarmi del mio apprezzamento della situazione invece di eseguire alla lettera gli ordini ricevuti. Per quanto dovessi spiegare il mio comportamento al termine delle missioni, alla fine fui sempre giustificato o lodato per aver interpretato correttamente i miei ordini, che in fin dei conti mi erano stati dati allo scopo di mantenere la sicurezza del convoglio a me affidato. Quale fu la piu' memorabile delle occasioni a cui si riferisce? Fu durante una missione di scorta lungo una delle rotte per l'Africa Settentrionale. Fummo attaccati da un sommergibile nemico, ma manovrammo in tempo per evitare i siluri. Con la mia unita' risalii lungo la scia dei siluri e sganciai alcune bombe di profondita' dove ritenevo che si trovasse l'unita' attaccante. Il sommergibile aveva di certo avuto tempo sufficiente per lanciare il segnale di scoperta, sicche' ritenni che le unita' aeronavali britanniche operanti da Malta erano state messe sull'avviso. Quindi decisi, quale capo-scorta, di cambiare la rotta del convoglio e navigare verso Pantelleria alla piu' alta velocita' consentita. Supermarina tento' di mettersi in contatto con me via radio, per avvertirmi che eravamo stati avvistati e ordinarmi una rotta diversa da quella da me scelta. Io preferii mantenere silenzio radio per non far pervenire al nemico ulteriori dati sulla nostra posizione, rotta e velocita', poi procedetti come mi ero preposto. Quando arrivai a Pantelleria, l'Ammiraglio comandante l'isola mi disse che mi aveva gia' dato per affondato visto che ero mancato ai ripetuti appelli di Supermarina. Poi mi chiese perche' non avevo eseguito i miei ordini ed io risposi che, secondo i miei calcoli, se avessi obbedito gl'Inglesi avrebbero potuto intercettare il mio convoglio. L'Ammiraglio condivise la mia opinione, ed io finii con l'essere lodato per aver "correttamente interpretato gli ordini ricevuti". A questo punto ritenni di aver sufficientemente messo alla prova la cortese ospitalita' dell'Ammiraglio. Pighini mi parlo' un po' del momento difficile che la Marina Italiana odierna stava attraversando, dovuto alle ristrettezze finanziarie dei bilanci. La sua e' una preoccupazione che io, da ufficiale della Marina degli Stati Uniti, posso facilmente condividere. Infine, poco prima di salutarmi, l'Ammiraglio mi mostro' gli appunti che soleva prendere durante il periodo bellico, stilati a mano. Osservazioni e ricordi interessanti, che hanno senz'altro un grande valore storico. Mi disse di tornare a visitarlo se mi dovessi trovare di nuovo a Roma, ed io spero di poter accettare il suo invito: la mia visita all'Ammraglio Pighini fu non solo molto istruttiva, ma anche un vero piacere. |
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